LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE 
 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello   n.   1123/07,
depositato il 2 agosto 2007, avverso  la  sentenza  22  gennaio  2006
emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Rovigo. 
    Contro: Agenzia entrate, Ufficio  Badia  Polesine,  proposto  dal
ricorrente Crivellari e Zebini S.p.A.,  via  Roma  n.  1451  -  45020
Giacciano con Baruchella (Rovigo), difeso da Toniolo Claudio -  Basso
Caterina - Contra' XX Settembre n. 37 - 36100 Vicenza. 
    Atti impugnati: 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 1999; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2000; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2001; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2002; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2003; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2004. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    La societa' Crivellari & Zerbini  S.p.A.  chiedeva,  in  data  22
dicembre 2004 medianta istanza presentata all'Agenzia delle entrate -
Ufficio di Badia Polesine (Rovigo),  il  rimborso  dell'IRAP  versata
negli anni d'imposta dal 1999 al 2004, per un importo complessivo  di
€_780342,35, sulla base della ritenuta incompatibilita' dell'IRAP con
la sesta direttiva UE del 17 maggio 1977. 
    Contro il silenzio rifiuto, formatosi sull'istanza  di  rimborso,
ricorreva  alla  Commissione  tributaria   provinciale   di   Rovigo,
sostenendo l'illegittimita' dell'IRAP perche' in contrasto con l'art.
33 della sesta direttiva CEE, n. 77/388/CEE,  che  vieta  agli  Stati
membri di introdurre qualsiasi imposta che abbia  le  caratteristiche
dell'IVA. 
    La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso,  con
sentenza 22 gennaio 2006 depositata il 27 maggio 2006,  e  condannava
la ricorrente al  pagamento  delle  spese  processuali  liquidate  in
€ 4.000,00. 
    La societa' contribuente proponeva appello a  questa  Commissione
tributaria regionale esclusivamente sul punto delle spese di lite. 
    Riconosciuto  che  la  sentenza  e'  nel  merito  conforme   alla
pronuncia della Corte di giustizia in causa C-475/03 depositata il  3
ottobre 2006, la societa'  contribuente  ne  lamentava  l'ingiustizia
relativamente alla soccombenza quanto a spese,  diritti  ed  onorari,
contestandone altresi' la quantificazione ritenuta eccessiva. 
    Asserita,  preliminarmente,  l'ammissibilita'   dell'impugnativa,
evidenziava in particolare come, al momento  della  proposizione  del
ricorso introduttivo del giudizio, fosse pendente dinanzi alla  Corte
di giustizia delle Comunita' europee il procedimento C-475/03 volto a
sostenere la illegittimita' dell'IRAP, in  quanto  imposta  calcolata
sul valore aggiunto della  produzione  con  caratteristiche  analoghe
all'IVA. 
    In  vista  della  possibilita'  che  la  pronuncia  del   giudice
comunitario dichiarasse il  contrasto  dell'IRAP  con  una  normativa
comunitaria, la societa' aveva attivato, in via cautelare per evitare
le conseguenze della decadenza conseguente al decorso del termine  di
48 mesi dai singoli versamenti, prima una richiesta  di  rimborso  di
quanto nel frattempo  versato,  inviata  all'Agenzia  delle  entrate,
Ufficio di Rovigo; poi, viste  anche  le  conclusioni  nel  frattempo
presentate in sede di giudizio comunitario dall'Avvocato generale, un
ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Rovigo avverso  il
silenzio rifiuto dell'Amministrazione finanziaria. 
    Che si trattasse di questione di grande rilevanza e  complessita'
risultava anche  dalla  rimessione  della  controversia  alla  Grande
sezione della  Corte  di  giustizia;  del  resto  l'incertezza  della
questione emergeva anche dalla circostanza  che  l'avvocato  generale
avesse  depositato  nel  marzo  del  2005  le   proprie   conclusioni
favorevoli all'accoglimento delle tesi dell'illegittimita' dell'IRAP. 
    Inoltre  la  stessa  Agenzia  delle  entrate  aveva  riconosciuto
espressamente la complessita' della controversia, facendo presente in
una sua circolare (la n. 9/E del 14 febbraio 2007) l'opportunita'  di
giungere a soluzioni transattive dei contenziosi pendenti in materia. 
    La  necessita'  di  attivarsi  in  via  cautelare,  l'assenza  di
attivita' processuale svolta in attesa della decisione della Corte di
giustizia, l'incertezza, la novita', la complessita' della questione,
il parere di due avvocati  generali  che  hanno  ritenuto  l'IRAP  in
contrasto con la normativa comunitaria,  avrebbero,  dunque,  dovuto,
secondo la societa' appellante, indurre la Commissione tributaria  di
primo grado ad una diversa decisione in ordine alla statuizione sulle
spese del giudizio di primo grado,  dolendosi,  in  particolare,  del
fatto che la sentenza di primo  grado  avesse  liquidato,  in  favore
dell'Amministrazione   finanziaria,   le   spese   giudiziali   senza
distinguerei singoli importi liquidati al titolo di spese, diritti  e
onorari, come invece sarebbe stato necessario, per di piu' in assenza
di deposito della nota spese depositata da parte dell'Amministrazione
vittoriosa. 
    Chiedeva  quindi,  conclusivamente,  la  riforma  della  sentenza
impugnata nel senso sopra illustrato. 
    L'Agenzia delle entrate, costituendosi  nel  giudizio  d'appello,
faceva  presente  innanzitutto  di  avere  a  suo  tempo  ritualmente
depositato presso la Commissione provinciale di Rovigo la nota spese. 
    Contestava,   nel   merito,   la   fondatezza    delle    ragioni
dell'appellante, sottolineando come la Commissione provinciale, prima
ancora di pronunciarsi nel merito  della  questione,  avesse  accolto
l'eccezione preliminare sollevato dall'ufficio e quindi  respinto  il
ricorso della  Societa',  ritenendo  che  la  richiesta  di  rimborso
dell'IRAP  dovesse  essere  compiuta  attraverso   presentazione   di
apposita dichiarazione rettificativa  di  quella  originaria,  e  non
tramite presentazione di un'istanza di rimborso. 
    La soccombenza della societa' ricorrente si era verificata quindi
anche indipendentemente dalla valutazione nel merito  dei  motivi  di
ricorso. 
    Faceva ancora presente, poi, che sul merito della controversia  i
giudici provinciali si fossero pronunciati con  ampie  e  dettagliate
argomentazioni, ben prima che sulla questione giungesse la  decisione
della Corte di giustizia europea. 
    Pienamente  giustificata  era,   quindi,   l'applicazione   della
previsione dell'art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, che vuole che  la
parte soccombente sia condannata a rimborsare le spese del giudizio. 
    L'Ufficio concludeva chiedendo la  conferma  della  pronuncia  di
primo grado e l'addebito alla parte appellante anche delle  ulteriori
spese relative al secondo grado di giudizio. 
    Con   memoria   depositata   nell'imminenza    dell'udienza    di
discussione, la Societa' appellante  ribadiva  che  nel  giudizio  di
primo grado era stata depositata una nota spese generale, stilata  al
momento della costituzione in giudizio e, per questo, necessariamente
compilata senza tener conto delle specifiche attivita' difensive  che
sarebbero state svolte nell'ambito della controversia, ma  unicamente
in base al solo valore di questa. 
    La Commissione tributaria  provinciale  aveva,  conseguentemente,
erroneamente liquidato le spese  di  lite,  riconoscendo  diritti  ed
onorari per attivita' non  svolte,  come,  ad  esempio,  per  memorie
illustrative mai depositate e per istanze  di  pubblica  udienza  mai
avanzate, pur essendo tali attivita' state inserite nella nota  spese
depositata per la liquidazione. 
    Cio' confermerebbe, ad avviso dell'appellante, che le  note  sono
state predisposte dall'Amministrazione in modo  generico  e  uniforme
per tutte le potenziali controversie nella presente materia. 
    Faceva rilevare che, in base alle reali attivita' poste in essere
dall'Amministrazione - che era stata  in  giudizio,  tanto  in  primo
quanto in secondo grado, a mezzo dei suoi  funzionari  senza  valersi
dell'assistenza e della rappresentanza dell'Avvocatura dello Stato  -
e pur applicando le tariffe professionali  nell'importo  massimo,  la
quantificazione degli importi liquidabili  sarebbe  stata,  comunque,
differente ed inferiore a quella contenuta nella sentenza appellata. 
    Quanto all'affermazione secondo la  quale  il  giudice  di  primo
grado aveva rigettato il ricorso accogliendo l'eccezione  preliminare
dell'ufficio sulle modalita' di presentazione dell'istanza  da  parte
della societa', l'appellante rileva che, se  pure  il  punto  non  ha
formato oggetto di impugnazione per evidente  carenza  di  interesse,
l'interpretazione della commissione provinciale e' errata, risultando
ormai chiarito che la richiesta di rimborso  IRAP  non  necessita  di
apposita dichiarazione rettificativa e si deve invece attuare con  la
presentazione dell'istanza di rimborso ex art. 38 d.P.R. n.  600  del
1973. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Preliminarmente alla  decisione  sul  merito  della  controversia
occorre affrontare il punto della rilevanza  e  della  non  manifesta
infondatezza della questione  di  legittimita'  costituzionale  della
norma di legge che, nella specie, dovrebbe essere applicata da questo
Giudice. 
    A questa Commissione tributaria regionale  non  appare,  infatti,
manifestamente   infondata   la    questione    della    legittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 2-bis, del decreto legislativo  31
dicembre 1992, n. 546, come modificato con il d.l. 8 agosto 1996,  n.
437 (convertito in legge 24 ottobre 1996, n. 556), il  quale  dispone
che  «nella  liquidazione  delle  spese  a  favore  dell'ufficio  del
Ministero    delle    finanze,    se    assistito    da    funzionari
dell'amministrazione, e a favore dell'ente locale,  se  assistito  da
propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli  avvocati  e
procuratori, con la riduzione del venti per cento  degli  onorari  di
avvocato ivi previsti», in relazione agli articoli 3, 24 e in  Cost.,
sotto i profili che di seguito vengono illustrati. 
Sulla rilevanza. 
    La  questione  di  legittimita'  rileva   in   questo   giudizio,
riferendosi alla citata disposizione  di  legge  della  quale  questo
Giudice e' chiamato a dare  applicazione  sulla  base  del  contenuto
dell'appello   e   tenuto    conto    delle    eccezioni    sollevate
dall'Amministrazione appellata. 
    Invero a questo Giudice  e'  stato  richiesto  di  verificare  la
legittimita'  della  sentenza  appellata,  espressamente   contestata
dall'appellante, sulla  base  di  uno  specifico  motivo  di  appello
concernente la congruita' della liquidazione delle spese di lite,  da
parte del giudice di primo grado,  che  sarebbe  stata  asseritamente
operata in violazione dei parametri normativi previsti dalla legge. 
    A tali fini, pertanto, questa  Commissione  tributaria  regionale
non puo' che fare riferimento alla previsione del citato comma  2-bis
dell'art. 15 del decreto legislativo n. 546/92 (cosi' come modificato
dal d.l. n. 437/96 e successiva legge di conversione n. 556/96)  onde
verificare se davvero la quantificazione delle spese di lite, al  cui
pagamento l'appellante e' stato condannato  fosse  stata  operata  in
modo non conforme alla  previsione  normativa  dettata  dalla  citata
norma di legge. 
    In  simile  contesto  risulta  irrilevante  che l'Amministrazione
resistente  si  fosse  costituita  in  giudizio  senza  ricorrere  al
patrocinio e all'assistenza dell'Avvocatura dello Stato, posto che e'
l'art. 12, comma 4, del citato decreto  legislativo  n.  546/92,  che
consente espressamente tale forma di assistenza tecnica da parte  del
funzionario. 
    E' proprio con riferimento alla situazione processuale  descritta
che l'art. 15, comma 2-bis del d.lgs. n. 546/92 prevede espressamente
che, in tal caso, le spese da porre a carico della parte  soccombente
siano liquidate dal giudice applicando «la tariffa  vigente  per  gli
avvocati e procuratori, con la riduzione del venti  per  cento  degli
onorari di avvocato ivi previsti». 
    Secondo il diritto vivente, poi,  come  espresso  dalla  costante
giurisprudenza  della  Suprema  Corte,   la   condanna   alle   spese
presuppone, oltre alla soccombenza nella lite, anche il  deposito  di
una nota, ai sensi dell'art. 77 delle disposizioni di attuazione  del
codice di procedura civile, che contenga  «...  in  modo  distinto  e
specifico gli onorari e tutti i costi sostenuti» (cfr. Cass. sez.  5,
sentenza n. 1035 del 18 gennaio 2008 - Rv. 601181). 
    Nel caso di specie la nota spese risulta regolarmente  depositata
nel giudizio di primo grado dall'Agenzia delle entrate,  pur  essendo
stata contestata  dall'appellante,  sotto  diversi  profili,  la  sua
congruita'  e  la  sua  stessa  conformita'  al  citato  comma  2-bis
dell'art. 15, d.lgs. n. 546/92. 
    Inoltre, sempre secondo il diritto vivente, la  citata  norma  di
legge e' stata varata dal  legislatore  proprio  per  consentire  una
difesa dell'Amministrazione senza avere la necessita' di ricorrere  a
piu' onerosi difensori  muniti  di  abilitazione  professionale:  «Il
funzionario del comune ha soltanto tutelato in giudizio gli interessi
del comune, ha cioe' svolto le funzioni di assistenza  processuale  o
difesa tecnica di cui all'art. 12  del  d.lgs.  n.  546/1992;  questo
intervento di funzionari comunali, previsto dalla legge  processuale,
risponde alla ovvia esigenza di  evitare  il  sistematico  e  costoso
ricorso ad avvocati  del  libero  foro  e  trova  esplicita  sanzione
nell'art. 15, comma 2-bis del citato d.lgs. n. 546/1992  secondo  cui
''nella liquidazione delle spese a  favore...  dell'ente  locale,  se
assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli
avvocati e procuratori, con la riduzione del venti  per  cento  degli
onorari di avvocato ivi previsti''.» (Cosi' Cass. sez. 5, sentenza n.
20042 dell'8 ottobre 2004 - Rv. 577640). 
    Del resto la piena legittimita' del  compimento  di  tipici  atti
defensionali da parte del pubblico funzionario e' stata espressamente
riconosciuta dalla giurisprudenza del supremo collegio che  ha  avuto
modo di stabilire che: 
        «In terna di  contenzioso  tributario,  fermo  rimanendo,  in
ordine alla capacita' di stare in  giudizio  degli  enti  locali,  ai
sensi dell'art. 11, comma terzo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
che il comune sta in giudizio mediante il sindaco,  quale  organo  di
rappresentanza previsto dall'ordinamento  dell'ente,  deve  ritenersi
che, poiche', come risulta dall'art. 15,  comma  2-bis,  del  decreto
citato, a tale  organo  di  rappresentanza  e'  consentito  di  farsi
assistere  nel  giudizio  da  funzionari  comunali,  questi   debbono
considerarsi pienamente abilitati a sottoscrivere - beninteso in nome
dell'organo rappresentativo e non gia' dell'ufficio ricoperto - tutti
gli atti necessari per lo svolgimento della funzione di assistenza ad
essi  specificamente  demandata,  compreso,  onde  rendere  pieno  ed
effettivo l'esercizio del diritto di difesa dell'ente, il  potere  di
sottoscrivere gli atti introduttivi o  di  costituzione  in  giudizio
(nella  fattispecie,  la  suprema  Corte  ha   ritenuto   valida   la
costituzione del comune nel giudizio di appello effettuata  con  atto
sottoscritto dal funzionario responsabile dell'Ufficio tributi non in
virtu' dell'ufficio ricoperto, ma in quanto delegato dal sindaco alla
difesa dell'ente).» (In questi termini  Cass.  sez.  5,  sentenza  n.
15639 del 12 agosto 2004 - Rv. 575492). 
    Peraltro  la  citata  norma  di  legge,  della  cui  legittimita'
costituzionale si dubita, appare in netto contrasto  con  i  principi
consolidati del diritto vivente, secondo cui, in  una  situazione  di
fatto come quella descritta e in assenza della norma  in  esame,  non
sarebbe, invece, legittimo il riconoscimento, da parte  del  giudice,
di diritti ed onorari in relazione alla difesa svolta da un  soggetto
cui non fossero applicabili le tariffe forensi. 
    Si deve, ad esempio, ricordare che  la  Corte  di  cassazione  ha
ritenuto, con giurisprudenza assolutamente costante (cfr.  da  ultimo
sez. 9 febbraio 2007, n. 2872) e proprio con riferimento  all'ipotesi
in cui  l'amministrazione  stia  in  giudizio  per  mezzo  di  propri
funzionari, espressamente prevista dalla legge n. 689/81  in  materia
di giudizio  di  opposizione  all'ordinanza-ingiunzione  di  sanzione
amministrativa, che: «Come... da  questa  Corte  gia'  reiteratamente
precisato  ove  l'autorita'  amministrativa,   che   ha   emesso   il
provvedimento  sanzionatorio,  stia  in  giudizio   personalmente   o
avvalendosi, appunto, di un  funzionario  delegato  (come  consentito
dalla legge n. 689 del 1981, art. 23, comma 4) non puo' essa ottenere
la condanna dell'opponente, che sia  soccombente,  al  pagamento  dei
diritti di procuratore e degli onorari  di  avvocato,  difettando  le
relative qualita' nel funzionario amministrativo che sta in giudizio,
per cui sono, in tal  caso,  in  suo  favore  liquidabili  le  spese,
diverse da quelle generali, che essa abbia  concretamente  affrontato
in quella causa e sempre che  tali  spese  risultino  indicate...  in
apposita nota (cfr. nn. 8678/93; 9365/97; 6898/98).''». 
    Questo risulta un punto fermo nella  giurisprudenza  del  supremo
collegio che ha gia' avuto modo di precisare - anche nel giudizio del
lavoro, in cui l'amministrazione puo' ugualmente stare in giudizio  a
mezzo del funzionario delegato - che la condanna  del  soccombente  a
rifondere diritti ed onorari di causa  puo'  essere  pronunciata  dal
giudice soltanto  quando  amministrazione  vittoriosa  si  sia  fatta
assistere da un difensore iscritto all'albo degli avvocati: 
        «Si applica pertanto il principio affermato,  in  particolare
da Cass. 28 maggio 1990 n. 4970, secondo cui, qualora  una  autorita'
amministrativa sia rappresentata in  giudizio  da  un  difensore,  ai
sensi  degli  arti.  82  e   87   cod.   proc.   civ.,   il   diritto
dell'amministrazione al rimborso delle spese di lite, ex art. 91 cod.
proc. civ., comprende anche i relativi onorari di difesa e diritti di
procuratore, ancorche' detto difensore sia anche un  suo  dipendente,
atteso che quel  diritto  sorge  per  il  solo  fatto  che  la  parte
vittoriosa e' stata in giudizio con  il  ministero  di  un  difensore
tecnico. Tale principio non si pone in contrasto con quello  espresso
da Cass. 13 agosto 1993 n. 8678, richiamato  dai  ricorrenti,  atteso
che quest'ultimo si riferisce alla diversa ipotesi (che  non  ricorre
nel caso di specie) nella quale  l'autorita'  amministrativa  sta  in
giudizio avvalendosi di un funzionario  amministrativo  appositamente
delegato.». (Cosi' Cass. sez. L, sentenza n. 19274  dell'8  settembre
2006 - Rv. 592896). 
    Persino nel caso previsto dall'art. 3 del r.d. 30  ottobre  1933,
n.  1611,  quando  l'Amministrazione  sia  stata  assistita   da   un
funzionario delegato dall'avvocatura dello Stato in base alla  citata
norma di legge, si e' sempre stabilito che possano essere  rimborsate
ad essa  dal  soccombente  soltanto  le  spese  vive,  con  esplicita
esclusione del riconoscimento di diritti ed onorari  di  causa  (Cfr.
sez. 1, sentenza n. 6454 del 29 novembre 1988 - Rv. 460782). 
    Sempre nel senso dell'inapplicabilita', per il  diritto  vivente,
delle tabelle professionali degli  avvocati  a  soggetti  diversi  da
quelli, si rammenta ancora che la Corte di cassazione,  sez.  II,  n.
11128 del 2006, ha ritenuto, in un caso in cui un collegio  arbitrale
era composto, oltre che da avvocati, anche  da  altro  professionista
(architetto), che non potesse trovare  applicazione  la  tabella  che
prevede  gli  onorari  spettanti  agli  avvocati  per  le   attivita'
stragiudiziali, indicandone il minimo ed il massimo secondo il valore
della controversia.  «Tale  disposizione,  infatti,  contenuta  nella
disciplina dei compensi per l'attivita' forense anche  stragiudiziale
e pertinente, quindi, ai soli soggetti iscritti al  relativo  albo  e
solo nei loro confronti vincolante, non puo' trovare applicazione con
riguardo ai collegi arbitrali a composizione mista». 
    In conclusione,  dunque,  si  deve  ritenere  parte  del  diritto
vivente la regola secondo la quale le tabelle dettate per il  computo
dei compensi dei professionisti  si  possano  applicare  direttamente
solamente  ai  professionisti  stessi,   con   ogni   esclusione   di
applicazione analogica a soggetti che, pur  avendo  svolto  attivita'
lavorative  anche  simili  alle  loro,  non  siano  in  possesso  dei
requisiti soggettivi propri di quelli. 
    La possibilita', per l'amministrazione, di essere rimborsata  dal
soccombente delle somme dovute per diritti  ed  onorari,  invece,  e'
sempre stata esclusa quando la stessa non si sia  avvalsa  di  difesa
tecnica ma si sia limitata a  farsi  rappresentare  ed  assistere  in
giudizio - nei soli casi in cui la legge lo  consenta  -  da  un  suo
funzionario a cio' delegato. 
    Il presente giudizio,  pertanto,  non  potrebbe  essere  definito
quanto alla richiesta verifica  della  congruita'  della  statuizione
sulle spese di lite contenuta nella  sentenza  appellata  senza  dare
applicazione alla citata  norma  di  legge,  della  cui  legittimita'
costituzionale,   tuttavia,   questo   giudice   nutre   dubbi    non
manifestamente infondati per le ragioni di seguito illustrate. 
    Di qui l'accertata rilevanza della questione che si prospetta, ai
fini  di  rendere  possibile  la  decisione  di  questa   Commissione
tributaria regionale  sull'appello  proposto  dalla  Societa'  Grandi
Mulini Italiani S.p.A. 
Sulla non manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    La disposizione appare  in  contrasto  sia  con  l'art.  3  della
Costituzione, sotto  diversi  profili,  sia  con  l'art. 111, secondo
comma Cost., dato che introduce una  irragionevole  e  ingiustificata
disparita' di trattamento fra le parti del giudizio  tributario  sia,
infine, con l'art. 24 Cost. per l'ostacolo che la norma determina  al
libero esercizio del  diritto  di  difesa,  come  di  seguito  meglio
precisato  con  riferimento  a  ciascuna   delle   menzionate   norme
costituzionali. 
    Il parametro dettato dall'art. 3 Cost. 
    Sotto un primo profilo la disposizione  in  questione  appare  in
contrasto con l'art. 3 Cost. per l'ingiustificata assimilazione,  che
essa opera, di situazioni obiettivamente disomogenee e la conseguente
irragionevole disparita' di trattamento cosi' determinata. 
    Essa infatti impone al giudice tributario  (vincolandolo,  cosi',
in modo espresso) di ricorrere, per la liquidazione  delle  spese  in
favore dell'Amministrazione finanziaria e da  porre  a  carico  della
parte soccombente, alla «...  tariffa  vigente  per  gli  avvocati  e
procuratori». 
    Le tariffe in questione (che riguardano sia  i  diritti  che  gli
onorari spettanti all'avvocato  in  ragione  del  tipo  di  attivita'
svolta e che  prevede  anche  un  rimborso  forfettario  delle  spese
generali, nella misura del 12,5%) sono contenute nelle  c.d.  tabelle
forensi che sono state concepite e che hanno per oggetto la specifica
attivita' professionale dell'avvocato. 
    Esse vengono approvate  con  decreto  ministeriale  del  Ministro
della giustizia sulla base  di  diverse  previsioni  di  legge  quali
l'art. 1 della legge 3 agosto  1949,  n.  536,  concernente  «Tariffe
forensi in materia penale e stragiudiziale  e  sanzioni  disciplinari
per  il  mancato  pagamento  dei  contributi  previsti  dal   decreto
luogotenenziale 23 novembre 1944,  n.  382»;  l'art.  3  del  decreto
legislativo  luogotenenziale  22  febbraio  1946,  n.  170,   recante
«Aumento degli onorari di avvocato  e  degli  onorari  e  diritti  di
procuratore»; l'articolo unico della legge 7 novembre 1957, n.  1051,
recante «Determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennita'
spettanti agli avvocati e procuratori per prestazioni  giudiziali  in
materia civile». 
    Il  piu'  recente  decreto  ministeriale  di  approvazione  delle
tariffe forensi (d.m. 8 aprile 2004, n. 127, in Gazzetta Ufficiale n.
115 suppl. ord. del 18 maggio  2004,  titolato  «Regolamento  recante
determinazione  degli  onorari,  dei  diritti  e   delle   indennita'
spettanti agli avvocati per le  prestazioni  giudiziali,  in  materia
civile,  amministrativa,  tributaria,   penale   e   stragiudiziali»)
contiene prescrizioni normative tali da mettere in evidente,  stretta
correlazione il compenso tabellarmente previsto  con  la  particolare
attivita' professionale svolta, nel singolo caso, dall'avvocato. 
    Cosi', ad esempio, l'Annesso A), sub art. 5, comma 1, prevede che
nella liquidazione degli onorari a carico del  soccombente  si  debba
tener conto  di  una  serie  di  parametri  (natura  e  valore  della
controversia, importanza e numero  delle  questioni  trattate,  grado
dell'autorita'  adita)  avendo,   pero',   «...   speciale   riguardo
all'attivita' svolta dall'avvocato davanti al giudice». 
    E all'art. 4 dello stesso Annesso A) e' previsto che «... qualora
fra le prestazioni dell'avvocato e l'onorario previsto dalle  tabelle
appaia,  per  particolari  circostanze  del   caso,   una   manifesta
sproporzione,  possono  essere  superati  i  massimi  indicati  nelle
tabelle...». 
    Oppure, in Annesso D) concernente la tariffa in  materia  penale,
l'art. 1, comma 1 prevede,  tra  l'altro,  l'obbligo  di  considerare
«...il pregio dell'opera prestata» al fine di operare la liquidazione
degli onorari in favore dell'avvocato. 
    Ed il successivo comma 2 prevede la possibilita' di aumentare gli
onorari fino al quadruplo dei  massimi  stabiliti  in  tabella  nelle
«...cause che richiedono un particolare impegno, per la  complessita'
dei fatti o per le questioni giuridiche trattate...». 
    Nella relazione  che  ha  accompagnato  il  provvedimento  si  e'
precisato  espressamente  che  le  tariffe  riportate  nelle  tabelle
esprimono il valore «...degli onorari, dei diritti e delle indennita'
dovuti agli avvocati per l'esercizio della attivita' professionale». 
    Inoltre  la   stessa   relazione   ha   formulato   le   seguenti
significative   considerazioni,   di   carattere   generale,    sulla
correlazione necessariamente esistente tra i  compensi  tabellarmente
previsti e l'attivita' professionale dell'avvocato: 
        «Com'e' noto, nel decennio trascorso si sono succedute rapide
trasformazioni nel Paese e nell'amministrazione della  giustizia.  La
professione  di  avvocato  si  e'  adattata  ai  mutamenti  normativi
comportanti modifiche di taluni riti  sia  civili  che  penali,  alla
complicazione del sistema  normativo  in  relazione  ai  processi  di
internazionalizzazione  dei  traffici,  all'integrazione  del  nostro
ordinamento giuridico con l'ordinamento  comunitario.  Tale  processo
innovativo ha comportato per la professione forense la necessita'  di
una formazione e di un aggiornamento costanti, la necessita'  di  una
costosa  opera   di   progressiva   informatizzazione   degli   studi
professionali e degli  altri  strumenti  per  l'esercizio  quotidiano
dell'attivita',  l'adeguamento  delle  prassi  e  dei  parametri   di
riferimento deontologici. 
    E' peraltro necessario che i cittadini  ricevano  dagli  avvocati
un'opera di assistenza e di tutela adeguata e pronta che,  pur  nella
inevitabile varieta' delle esperienze  e  delle  qualita'  personali,
offra alla collettivita' standard comuni al di  sotto  dei  quali  la
protezione  del  fondamentale  diritto  di  difesa,   propria   delle
democrazie     pluraliste     contemporanee,     si      risolverebbe
nell'accentuazione delle discriminazioni piuttosto  che  nell'aumento
delle opportunita' per tutti i cittadini. 
    In questo quadro,  il  mantenimento  di  un  sistema  di  onorari
professionali minimi inderogabili appare, ove  correttamente  inteso,
non come un'indebita protezione di operatori professionali ai margini
del  mercato,  ma  come  la  garanzia   pubblica   che   evita   alla
collettivita' gli effetti piu' dannosi del dispiegamento, senza alcun
limite delle dinamiche della concorrenza commerciale.  Ad  avvalorare
tale  predicato,  la  recente  sentenza  Corte  di  giustizia   delle
Comunita' europee 19 febbraio 2002, in causa C35-99, ha posto fine ad
un annoso dibattito circa la compatibilita'  del  sistema  tariffaria
con l'art. 81 del Trattato CE, chiarendo  come  la  deliberazione  da
parte del Ministro per la giustizia, conseguente  alla  proposta  del
Consiglio  nazionale,  salvaguardi  la  valenza   pubblicistica   del
relativo procedimento, in funzione  degli  interessi  generali  della
collettivita', e non gia' degli interessi specifici  della  categoria
professionale. 
    La decisione dell'organo di giustizia comunitario ben si  integra
con il quadro di riferimento dell'ordinamento italiano vigente,  dove
la tradizionale collocazione pubblicistica  delle  organizzazioni  di
autogoverno degli avvocati, i Consigli degli ordini  forensi,  si  e'
arricchita negli ultimi anni di numerose ulteriori funzioni di natura
squisitamente pubblica, in ossequio al principio  di  sussidiarieta',
quali  quelle  connesse  al  gratuito  patrocinio   e   alla   difesa
d'ufficio...». 
    E' fuor di dubbio, pertanto, che le tabelle  in  questione  siano
state approvate: 
        a)  in  relazione  alla  specifica  e  qualificata  attivita'
professionale svolta da  un  soggetto  (l'avvocato)  in  possesso  di
particolari  titoli  che  lo  abilitano  allo  svolgimento  di   tale
attivita'; 
        b) in funzione di protezione degli interessi  generali  della
collettivita',  garantiti  ed  assicurati  proprio   dalla   speciale
qualificazione  professionale  dei  soggetti  abilitata  a   svolgere
l'attivita' forense. 
    Nel caso  di  specie,  pero',  in  cui  questo  giudice  dovrebbe
applicare le citate tabelle in forza di quanto previsto dall'art. 15,
comma  2-bis  del  d.lgs.  n.  546/92  e  s.m.i.,   l'amministrazione
vittoriosa in primo grado non e' stata assistita nel processo  da  un
soggetto   avente   le    caratteristiche    professionali    proprie
dell'avvocato, ma da  un  funzionario  della  medesima  che  non  ha,
pertanto,  in  alcun   modo   svolto   quella   specifica   attivita'
professionale che le stesse tabelle  considerano  come  indefettibile
presupposto per la loro applicazione. 
    I  funzionari  dell'amministrazione   incaricati   della   difesa
svolgono, invero, attivita' che potrebbero anche apparire analoghe  a
quelle compiute dal difensore tecnico, ma  che  sono,  comunque,  del
tutto strutturalmente differenti da quelle, se non altro per difetto,
in capo  a  chi  le  pone  in  essere,  dei  requisiti  professionali
specifici (non solo di conoscenza tecnica ma  anche  di  preparazione
giuridica, di deontologia, di percorso formativo professionale  etc.)
invece tipici nel soggetto iscritto ad un albo professionale. 
    Occorre tenere presente, infatti, che  il  rinvio  operato  dalla
criticata disposizione di legge alla tariffa vigente per gli avvocati
e procuratori non e' stato nemmeno accompagnato dalla  previsione  di
speciali requisiti professionali in capo ai funzionari  degli  uffici
finanziari incaricati della difesa  dell'amministrazione  davanti  al
giudice tributario: non e' stato previsto, pertanto, che essi vengano
scelti tra coloro che esercitano anche la  libera  professione  (come
previsto dalla legge per i  dipendenti  che  abbiano  optato  per  un
orario di lavoro part time), e  siano,  dunque,  iscritti  agli  albi
professionali; ne' che siano iscritti alle sezioni speciali dell'albo
degli avvocati  (in  cui  sono  iscritti  coloro  che  esercitano  la
professione  forense  alle  dipendenze  di  organi   della   pubblica
amministrazione); ne'  e'  stato  prescritto  che  possiedano  almeno
l'abilitazione all'esercizio della professione  forense  ne'  che  si
tratti  di  avvocati  inquadrati  nel  ruolo  professionale  previsto
dall'art. 15 della legge n. 70 del  1975,  e  neppure  che  siano  in
possesso del titolo di studio richiesto  per  l'esercizio  di  quella
professione. 
    Se, allora, la tabella forense e' stata approvata  al  dichiarato
scopo di determinare  il  compenso  per  l'opera  dei  professionisti
iscritti all'albo degli avvocati ed esercenti la libera  professione,
perche' essa sia «adeguato  all'importanza  dell'opera  e  al  decoro
della professione»  e  sia,  nel  contempo,  idonea  a  garantire  la
collettivita' in ragione della certificata (dallo Stato) abilitazione
professionale  del  soggetto  svolgente   tale   attivita',   appare,
all'evidenza, del tutto  ingiustificata,  irragionevole  e  priva  di
qualsiasi motivazione giuridica (dunque in contrasto con i  parametri
dettati dall'art. 3 della Costituzione) una  norma  di  legge,  quale
appunto l'art. 15, comma 2-bis  del  citato  d.lgs.  n.  546/92,  che
obblighi il giudice  ad  applicare,  in  favore  dell'amministrazione
vittoriosa, la stessa tariffa prevista per gli avvocati e procuratori
- tal quale quanto al compenso spettante per diritti di causa  e  per
il rimborso  delle  spese  sostenute,  ivi  incluse  quelle  generali
quantificate (come e' previsto per i professionisti che quelle  spese
generali debbono sostenere nello svolgimento  della  loro  attivita')
nella misura del 12,5% degli onorari spettanti nel singolo caso;  con
una indifferenziata riduzione  quantitativa  del  20%  degli  importi
liquidabili per onorari - pur non essendo stata svolta, in  concreto,
quella speciale e delicata attivita' professionale di avvocato che le
stesse  tariffe  risultanti  dalle  tabelle  forensi   espressamente,
invece, presuppongono per la loro applicazione. 
    Situazioni del tutto diverse tra  loro  hanno  ricevuto  identico
trattamento giuridico nella parte in cui  si  obbliga  il  giudice  a
ricorrere alle tariffe forensi per liquidare, a  carico  della  parte
privata soccombente, l'attivita' di  difesa  svolta  a  favore  della
pubblica amministrazione dai suoi stessi funzionari, per i quali  non
sono  stati  nemmeno  previsti  speciali   requisiti   di   idoneita'
professionale. 
    Devono,  al  riguardo,  richiamarsi  i  principi  affermati   con
riferimento al  parametro  imposto  dall'art.  3  cost.  dalla  Corte
costituzionale con la nota sentenza num. 0163 del 1993 (ud in data  2
aprile 1993), num. mass.  0019540,  secondo  cui:  «Il  principio  di
eguaglianza postula che sia previsto un trattamento normativo  uguale
o,  invece,  differenziato  nei  confronti  di  classi  di   soggetti
rispettivamente omogenee o non omogenee  obiettivo  perseguito  dalla
norma considerata. Percio', il giudizio costituzionale di eguaglianza
impone alla Corte di verificare che non sussista violazione di alcuno
dei seguenti criteri: a) la correttezza della classificazione operata
dal legislatore in relazione ai soggetti  considerati,  tenuto  conto
della disciplina normativa apprestata;  b)  la  previsione  da  parte
dello  stesso  legislatore  di  un  trattamento  giuridico  omogeneo,
ragionevolmente commisurato  alle  caratteristiche  essenziali  della
classe (o delle classi) di persone cui quel trattamento e'  riferito;
c) la proporzionalita' del trattamento  giuridico  e  visto  rispetto
alla classificazione operata dal legislatore tenendo conto  del  fine
obiettivo   insito   nella    disciplina    normativa    considerata:
proporzionalita' che va esaminata in relazione agli  effetti  pratici
prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita.». 
    Sulla base di tali principi, pertanto, la questione va sottoposta
all'esame della Corte costituzionale,  dal  momento  che  non  sembra
essere stato rispettato dal legislatore il  dovere  di  stabilire  il
compenso per lo svolgimento dell'attivita'  difensiva  da  parte  dei
funzionari  dipendenti  dall'amministrazione  in  modo  adeguato   ai
requisiti professionali posseduti e del tutto svincolato dai  diversi
criteri fissati per le tariffe forensi, funzionali alla  retribuzione
di soggetti che svolgono attivita' professionale  diversa  da  quella
del funzionario amministrativo. 
    La disposizione della cui legittimita' si dubita, invece,  impone
la diretta applicazione della tariffa forense a  favore  di  soggetti
che non solo non sono iscritti all'albo degli avvocati ma che non  si
richiede abbiano neanche una  formazione  professionale  assimilabile
alla loro. 
    Cosi' facendo,  assimilando,  sia  pure  con  la  sola  riduzione
quantitativa   prevista   per   gli   onorari,    alle    prestazioni
specialistiche del  professionista  laureato,  abilitato  e  iscritto
all'albo  professionale,   le   attivita'   lavorative   svolte   dal
dipendente, che non ha la medesima qualifica professionale, del quale
non e' certo e non e'  noto  se  possieda  preparazione,  formazione,
esperienza, titoli  di  studio,  analoghi  o  paragonabili  a  quelli
richiesti al professionista; omettendo  di  elaborare  una  specifica
tariffa, pur ispirata eventualmente alla falsariga di quella  dettata
per gli avvocati, ma calibrata sulle le prestazioni difensionali  dei
dipendenti dell'amministrazione, il legislatore dell'art.  15,  comma
2-bis,  del  decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546,   ha
irragionevolmente   e   ingiustificatamente   accomunato   quanto   a
disciplina due situazioni oggettivamente e intrinsecamente diverse. 
    Val la pena di ricordare che, in casi  analoghi,  il  legislatore
ha,  invece,  correttamente  provveduto  a  prevedere  una  specifica
tabella, diversa da quella professionale, per compensare  l'opera  di
dipendenti dell'amministrazione. 
    Ad esempio il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice
degli appalti - come modificato con il d.lgs. 11 settembre  2008,  n.
152, prevede (sub  art.  92,  2)  che,  ove  le  stazioni  appaltanti
affidino a  loro  dipendenti  le  attivita'  di  progettazione,  tali
attivita' siano compensate non gia' con l'applicazione diretta  delle
tabelle dettate per i professionisti tecnici, ma sulla base di  altre
specifiche tabelle, determinate  dal  Ministro  della  giustizia,  di
concerto con il Ministro delle infrastrutture, «tenendo  conto  delle
tariffe previste per le categorie professionali interessate». 
    Cosi' pure per le  attivita'  di  collaudo  e'  previsto  che  se
affidate  ai  propri  dipendenti,  il  compenso  loro  spettante  sia
stabilito (art. 92, 5) sotto forma di incentivo nella misura  del  2%
dell'importo posto a  base  di  gara;  mentre  ove  il  collaudo  sia
affidato a professionisti esterni si applicano a  questi  le  tariffe
stabilite dal rispettivo ordinamento professionale. 
    Tali tabelle forensi, allora, potrebbero anche valere  (come,  in
effetti, le disposizioni di legge da ultimo citate hanno disposto che
valgano,  nei  casi   ivi   previsti)   come   semplice   riferimento
parametrico, sulla base del quale il legislatore  potrebbe  elaborare
diverse specifiche tabelle, destinate  a  fornire  gli  elementi  per
stabilire il compenso spettante a soggetti diversi dai professionisti
iscritti negli albi  di  categoria  quando  essi  svolgano  attivita'
similare. 
    Ma non certo giustificato e coerente ai  principi  costituzionali
tutelati dall'art. 3  Cost.  appare  l'obbligo,  invece,  imposto  al
giudice dal citato art. 15 comma 2-bis del d.lgs. n. 546/92 e s.m.i.,
di utilizzare direttamente le tabelle professionali  valide  per  gli
avvocati  a  favore  della  parte  pubblica   che,   nell'ambito   di
procedimenti  giudiziari,  non  si  sia  avvalsa  dell'opera  di   un
difensore tecnico ma sia, invece, ricorsa ad un  proprio  funzionario
delegato agli incombenti processuali. 
    Sotto un secondo ulteriore profilo, sempre in  relazione  ad  una
denunciata irragionevole disparita' di trattamento, rilevante ex art.
3 Cost., si deve considerare che le  figure  professionali  abilitate
per legge al patrocinio dinanzi alle Commissione tributarie sono piu'
d'una, come prevede espressamente l'art. 12, comma 2  del  d.lgs.  n.
546/92. 
    Ove il privato affidi la sua difesa  ad  uno  dei  professionisti
abilitati  diverso   dall'avvocato,   trova   applicazione   per   la
liquidazione  delle  eventuali  spese  la  tariffa  professionale  di
competenza, e non quella degli avvocati. 
    Il principio, pacificamente riconosciuto  a  livello  di  diritto
vivente (cfr. Cass. sez. 5, sentenza n. 3355 del 7  marzo  2002,  Rv.
552908) e' stato, del resto, espressamente previsto dal secondo comma
dell'art. 15 del citato d.lgs. n. 546/92 e s.m.i., allorquando si  e'
stabilito: «I compensi agli incaricati dell'assistenza  tecnica  sono
liquidati sulla base delle rispettive tariffe professionali.». 
    Tale statuizione legislativa, del tutto  coerente  con  i  valori
costituzionali sopra illustrati,  dimostra  la  chiara  volonta'  del
legislatore di compensare ciascun appartenente alla diversa categoria
professionale   facendo   applicazione   della   specifica    tariffa
professionale, in modo da evitare che  fossero  applicate  tabelle  a
soggetti sprovvisti dei requisiti professionali corrispondenti. 
    E' irragionevole e contraddittorio  con  quanto  stabilito  dalla
stessa legge, al comma 2, per la parte privata, pertanto, che a  tale
principio si sia derogato con il comma 2-bis dell'art. 15 del  citato
d.lgs. n. 546/92, vincolando il giudice a fare applicazione,  per  la
parte pubblica, sempre e solo della  tariffa  professionale  prevista
per gli avvocati, indipendentemente dal contenuto della  controversia
decisa e/o della tipologia della difesa tecnica  scelta  dalla  parte
privata. 
    Scegliendo  di  rendere  applicabile  al  caso  solo  la  tariffa
professionale degli avvocati, anziche' formularne  una  specifica,  o
anziche'  consentire  al  giudice  di  determinare  il  compenso  per
analogia, ed imponendone l'applicazione in modo diretto ed esclusivo,
la disposizione ha contraddittoriamente operato in contrasto  con  il
principio secondo cui la tabella professionale puo' essere utilizzata
esclusivamente nei confronti di soggetti esercenti la professione cui
essa si riferisce, pure  espressamente  enunciato  nel  comma  2  del
citato articolo 15. 
    L'irragionevolezza   e   la   contraddittorieta'   della    norma
discendono, sotto di un terzo profilo, anche dall'aver  previsto  una
forfettaria e aprioristica riduzione del  20  per  cento  dei  valori
della tariffa forense quanto agli onorari, laddove una simile  scelta
legislativa finisce per attribuire alle prestazioni  difensionali  di
questi  -  valutate  ai  fini  della  quantificazione  degli  onorari
spettanti  -  un  valore  sempre  ed  immancabilmente  di  un  quinto
inferiore  a  quello  riconosciuto  al  lavoro  professionale   degli
avvocati, laddove, invece, non si puo' escludere  che  il  pregio  da
riconoscersi, sulla base di una  autonoma  specifica  valutazione  di
tutti gli elementi disponibili, al lavoro dei funzionari appartenenti
all'amministrazione possa anche rivelarsi, nel caso concreto, in  se'
non minore di quello attribuito all'attivita' professionale forense. 
    Il parametro dettato dagli artt. 3 - 111, in secondo comma Cost. 
    Un quarto profilo di irragionevolezza e  di  apparente  contrasto
con i parametri imposti sia dall'art. 3 che  dall'art.  111,  secondo
comma, Cost., sembra discendere dalla natura dell'onere  patrimoniale
gravante sul soccombente in forza del principio  affermato  dall'art.
15, comma 1 del d.lgs. n. 546/92. 
    Tale norma stabilisce, infatti, che il soccombente sia condannato
a rimborsare  le  spese  del  giudizio  che  sono  liquidate  con  la
sentenza. 
    Come si e' ricordato, secondo il diritto  vivente  si  e'  sempre
ritenuto che tale rimborso, nel caso in cui sia effettuato  a  favore
della pubblica amministrazione vittoriosa  che  non  si  sia  avvalsa
dell'attivita' di un difensore, debba riguardare le sole  spese  vive
da essa sostenute nel processo, non  potendo  riguardare  diritti  ed
onorari, non spettanti proprio a causa della mancanza  del  difensore
tecnico (cfr. Cass. sez. 1, sentenza n. 398 del 19 gennaio 1987 - Rv.
450145). 
    La spesa  rimborsabile  dal  soccombente,  pertanto,  sarebbe  in
questo caso limitata,  sia  perche'  non  potrebbe  ricomprendere  il
compenso da riconoscere all'opera del funzionario che abbia preparato
le difese e l'abbia rappresentata in giudizio sia perche'  le  uniche
spese rimborsabili sarebbero le spese vive che fossero documentate. 
    Sotto questo aspetto, quindi, - e volendo qui  prescindere  dalla
questione concernente diritti ed onorari (perche' gia' trattata) - le
pure spese vive sostenute  dall'amministrazione  per  la  difesa  nel
singolo procedimento potrebbero essere eventualmente quantificate con
il ricorso a criteri che nulla hanno a che fare  con  la  previsione,
contenuta  nella  tariffe  forensi,  di  un   diritto   al   rimborso
forfettario delle «spese generali» che le citate tabelle  fissano  al
12,5% dell'importo spettante come onorari. 
    Non, dunque, una  somma  calcolata  caso  per  caso,  sulla  base
dell'ammontare delle spese vive effettivamente sostenute nel  singolo
processo, ma un importo calcolato, in via  generale  ed  astratta,  a
percentuale sull'ammontare complessivo degli onorari liquidati. 
    Ove    si    ammetta    che    l'onere    economico     sostenuto
dall'amministrazione per la sua  difesa  nel  processo  tributario  -
quando non sia assistita da un difensore  -  non  corrisponde  ad  un
puntuale e specifico esborso a  favore  del  difensore  medesimo,  ma
rappresenti,  invece,  una  quota  ideale   dei   costi   complessivi
dell'organizzazione,   si   manifesta   un   ulteriore   profilo   di
irragionevolezza nella disposizione di legge  in  esame,  censurabile
come violazione degli articoli 3 - 111, secondo comma Cost. in quanto
comportante  una  ingiustificata  ed  irragionevole   disparita'   di
trattamento (comportante alterazione del principio di  parita'  delle
parti nel processo) fra l'amministrazione pubblica, da un lato, e  le
parti private del giudizio tributario, dall'altro: mentre la condanna
alle spese pronunciata a favore del  privato  costituisce  sempre  un
ristoro, almeno  in  parte,  di  spese  effettivamente  dal  medesimo
sostenute, la  condanna  alle  spese  a  favore  dell'amministrazione
comporta,  o  puo'  comportare,   un   suo   arricchimento,   essendo
commisurata non gia' a costi vivi sostenuti dall'amministrazione ma a
percentuale sugli onorari liquidati, prescindendo del tutto  da  tali
costi. 
    Il parametro dettato dall'art. 24 Cost. 
    La disposizione in esame sembra, infine,  consentire,  oltre  che
per la ragione da ultimo indicata, anche una  violazione  o  comunque
limitazione del diritto  di  difesa,  la  cui  pienezza  e',  invece,
garantita dall'art. 24 Cost. 
    Invero quando la condanna alle spese sia -  come  in  effetti  e'
sulla base di quanto previsto dalla tariffa  forense  cui  rinvia  la
norma di legge in esame - commisurata ad un paramento convenzionale e
slegata da un puntuale rapporto con  costi  effettivi  sostenuti  nel
singolo  processo,  finisce  per  rappresentare   o   un   contributo
parafiscale al  funzionamento  dell'amministrazione  a  favore  della
quale sia disposta  o  un  ingiustificato  prelievo  sanzionatorio  a
carico del soccombente o,  comunque,  una  condanna  patrimoniale  ad
effetto dissuasivo dal ricorrere al giudice. 
    La stessa Corte costituzionale, con sentenza  num.  0098  del  25
febbraio 2004, mass. n. 0028408, ha avuto modo di  stabilire  che  le
norme processuali non debbano «... frapporre  ostacoli  all'esercizio
del diritto di  difesa  non  giustificati  dal  preminente  interesse
pubblico ad uno svolgimento del processo adeguato  alla  funzione  ad
esso assegnata». 
    Nel caso di specie, invece, la disposizione di  legge  in  esame,
proprio per il suo carattere ingiustamente sanzionatorio per quel che
riguarda  il  rimborso  delle  spese  vive  di  lite  alla   pubblica
amministrazione   vittoriosa,   come   risulta   disciplinato   dalla
necessita' di applicare la tariffa forense anche nel caso in cui  sia
stata  prestata  semplice  attivita'  di  assistenza   nel   processo
tributario   a   mezzo   di   funzionario   delegato,    rappresenta,
oggettivamente, un fattore di remora, per la parte privata, ad  adire
il giudice tributario,  non  giustificato  dal  preminente  interesse
pubblico allo svolgimento di un  processo  tributario  adeguato  alla
funzione ad esso costituzionalmente assegnata.